Ci sono alcuni termini che possono essere utilizzati in alcuni contesti, in determinati spazi d’apprendimento, e altri che invece non ha senso utilizzare perché appartengono a un’altra cultura, o perché sono proprio di un’area semantica completamente diversa. Molti termini perdono il loro significato a forza di essere utilizzati e altre parole invece rinforzano il loro potere passando attraverso la bocca delle persone.

In generale una parola ha potere se viene anche “camminata”. Ciò significa che più le parole sono concretamente manifestate da una persona o da un individuo, e quindi più la narrazione di una persona è allineata al proprio asse, più quelle parole acquisiscono potere. Se la persona racconta qualcosa che non è vero e lo porta avanti, risulterà come una stonatura nello spartito del suo dialogo. Se invece le note della sua composizione sono reali e partono da un presupposto concreto, allora cambierà completamente il modo di vedere le cose delle persone che gli staranno attorno.

Le parole possono essere anche fuorvianti. Talvolta diciamo delle cose, riferendoci a qualcos’altro, cioè utilizziamo dei termini che non descrivono accuratamente cosa stiamo agendo. Così le persone credono di trovare ciò che stiamo descrivendo nelle nostre azioni e in realtà però si trovano di fronte un altro tipo di fatti.

Tra i nativi americani si dice “walk the talk”, ovvero “cammina ciò di cui parli” letteralmente, che non vuol dire nient’altro se non prendersi la responsabilità di ciò che diciamo; sia per quanto riguarda i riflessi del nostro passato, sia per ciò che riguarda il nostro futuro, e soprattutto per la nostra integrità d’animo.

Potrei parlare di ciò che è vero, di ciò che è falso, delle narrazioni politiche, di quelle metereologiche, o potremmo dialogare sull’utilizzo delle parole dai mass-media in continuazione; ma non è questo l’intento di questo breve articolo. Mi riferisco piuttosto all’utilizzo delle parole e del loro valore.

La nostra lingua è nata dal latino classico, scritto, e si è evoluta attraverso il parlato nel latino volgare, mutando poi nelle lingue romanze in un arco temporale di secoli. Attualmente, i social stanno contribuendo a un cambiamento semantico e quindi del significato e del valore delle parole in modo esponenziale.

Dall’avvento dei social-network infatti, sempre di più, alcuni termini perdono di contenuto. La parola “amore” per esempio, al di là del cinismo di cui è ammantata la nostra società, è una parola abusata. Spesso le persone si riferiscono ai rispettivi partner con il termine “amore” per poi magari tradire di nascosto. Altre volte invece si abusa del termine “amore” o dell’aggettivo “amorevole” riferendosi a qualcuno che in realtà è tutto fuorché carico d’amore. Queste parole possedevano un forte significato per le culture tradizionali, o per la poesia; pensiamo a Shakespeare per esempio e alle immagini che evocava! In certi casi potrebbero aver perso il loro valore culturale.

Un tempo non c’era internet e le informazioni viaggiavano attraverso il passaparola. La parola infatti ha un potere, costruito con lo scambio, il suono, la vibrazione e il linguaggio corporeo visibile e invisibile.

La rete internet ha di positivo la velocità e la quantità dello scambio di informazioni. Ma nell’ottica di rallentare per uscire dalla frenesia, per tornare a osservare, a sentire i profumi della vita, e riappropriarsi del proprio ritmo, forse anche le parole recupereranno il loro significato profondo. Inoltre dobbiamo anche osservare come ogni cultura utilizza i termini in modo diverso; ogni popolo infatti possiede un proprio dizionario e dobbiamo fare attenzione quindi a come dialoghiamo con “l’altro”.

Per cui, semplicemente, la questione orbita attorno al fatto che sui social-network esiste una vulgata differente, che molto spesso impoverisce il dialogo e i temi, con il rischio che ci si trovi nella vita quotidiana a perdere alcuni significati profondi delle relazioni.

La perdita di significato della vita è qualcosa di cui la nostra società umana soffre. Per cui possiamo semplicemente osservare questa perdita esistenziale e talvolta di senso, anche nell’utilizzo delle parole. Cioè, quanto camminiamo le nostre parole? Quanto ci prendiamo la responsabilità di ciò che diciamo, facciamo o compiamo? Questo è ciò con cui voglio relazionarmi: un utilizzo cosciente delle parole; cosa che gli sciamani conoscono bene, perché sanno che ogni parola e contiene una vibrazione. Questo non significa che dobbiamo ossessivamente fare attenzione a tutto ciò che diciamo, ma imparare ad allineare le nostre azioni con ciò che desideriamo realizzare e mettiamo in campo attraverso il nostro parlato, che può essere una forma di cura sociale.

Se ciò che viene detto, venisse anche realizzato, potremmo considerarci più allineati con noi stessi. A volte parliamo per sentito dire, a volte attraverso gli echi dei nostri antenati e della nostra educazione e a volte sproloquiamo per sfogarci. Altre volte invece parliamo dal cuore e da uno spazio di verità e questo è ciò che possiamo imparare dalle culture native, cioè dialogare attraverso il cuore. Quindi possiamo chiederci “Cosa abita dentro di me che vuole essere comunicato, detto o espresso?”

Certo non è facile, bisogna fare dei passi verso la vulnerabilità e conoscersi profondamente, ma se cominciamo a entrare in dialogo con la nostra verità interiore, ogni relazione a cui siamo intrecciati ne beneficerà. Nobilitare il significato e il valore delle nostre parole quindi, renderà nobile anche il nostro sentiero di vita.

E così ci rimettiamo in cammino…

al prossimo viaggio…

Alberto Fragasso

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